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Call center in Bulgaria


C’era una volta l’India: i call center delocalizzano in Bulgaria

Fino a poco tempo fa eravamo abituati a pensare che paesi come India, Indonesia, Africa del Nord e Sudamerica fossero quelli più promettenti in termini di business. Eventuali maggiorazioni di profitto, in quelle economie si sarebbero rese possibile grazie al basso costo della manodopera.

Eppure, da un po’ di anni a questa parte, sta emergendo il fenomeno est europeo destinato ad attirare sempre più considerevolmente le attenzioni di investitori, imprenditori e semplici lavoratori dipendenti: a differenza di quanto comunemente accade nei paesi poveri, le delocalizzazioni di massa che si stanno dirigendo nell’Europa dell’Est non guardano al solo basso costo della manodopera, quanto invece ad un insieme più ampio di fattori.
Chi si dirige in paesi come la Bulgaria, infatti, lo fa perché principalmente attratto da un sistema burocratico snello, dalla pressione fiscale più leggera di tutto il Vecchio Continente e da un apparato statale piuttosto funzionale agli occhi del cittadino medio.

Un esempio lampante che dimostra come gli imprenditori moderni siano alla ricerca di ben altro che di soli e semplici affari, non a caso, lo troviamo in un recente fatto di cronaca.

Facciamo particolare riferimento ad una serie di società, tra le quali spiccano i celebri marchi di Thomas Cook, Seatwave, Zumba Fitness, Sky ed eBay, che hanno esternalizzato verso la Bulgaria buona parte dei propri call center. Lo ha rivelato il quotidiano britannico Indipendent, tentando di motivare le ragioni per le quali questi colossi avrebbero preferito la Bulgaria alla cara vecchia India.
E in effetti, per decidere di saltare dall’India alla Bulgaria, un motivo fondante dovrà pur esserci stato! Soprattutto se consideriamo che l’India è una terra nella quale vigono costi d’impresa obiettivamente bassi, e che proprio in forza di questo dovrebbe dimostrarsi immune alle delocalizzazioni di massa.

Eppure, una risposta a questi interrogativi la troviamo straordinariamente riassunta dall’imprenditore Jonathan Gladutich, leader della società 60K, una nota azienda operante nell’outsourcing bulgaro che serve più di 3000 clienti britannici ed impiega 650 persone alle sue dipendenze:

“Correva l’anno 2008 quando ci siamo stabiliti qui a Sofia. All’epoca la Bulgaria era ancora un territorio vergine, dotato di un’infrastruttura delle telecomunicazioni piuttosto debole e obsoleta, nonché praticamente priva di outsourcing. Ma col tempo tutto è cambiato: negli ultimi anni mi sono reso conto di quante persone giovani e istruite ci siano qui. Basti pensare a come il 93% dei miei dipendenti siano laureati o dottorandi che vogliono lavorare per me ancora a lungo termine!”

D’altronde, già solo ponendo a confronto la tassazione sul lavoro gravante in Bulgaria e quella attuata in India, si ha modo di constatare come la prima economia faccia sue agevolazioni di più considerevole portata: se l’imposta sul reddito delle persone fisiche (la nostra IRPEF, sostanzialmente) è stata recentemente uniformata nella misura del 10% per quel che riguarda la Bulgaria, ecco invece che in India la stessa imposta trova aliquote meno chiare che salgono e scendono sulla base del sesso e dell’età della persona (per un tetto massimo del 30%).
E se analizziamo l’imposta sul reddito delle società, la situazione non cambia mica: i redditi prodotti dalle società operanti in Bulgaria sono tassati al 10%, mentre il paragone indiano oscilla dal 30% al 40%.

Per non parlare poi dei balzelli burocratici che ci si ritrova ad affrontare in Bulgaria (pochi e veloci) e quelli che si è invece costretti a sostenere in terra indiana.

Da questa analisi non possiamo quindi che confermare quanto ipotizzato inizialmente: i motivi cardine che spingono le imprese ad esternalizzare le loro attività in Bulgaria hanno a che vedere con un fisco leggero ed un contesto, che nella sua dinamicità e nella sua modernità, calca di fatto un’impronta occidentalizzante. Il vero (e unico?) punto di forza dell’India, invece, rimane quello di un costo della manodopera molto basso altrimenti chiamato “sfruttamento operaio”.