Bulgaria vs Italia: confronto sulle imposte dirette e indirette
Quando si arriva al punto tale di voler cambiare vita, spesso e volentieri si è soliti guardare con interesse ai paesi dell’Est o del Nord Europa. Sono queste infatti le aree del Vecchio Continente all’interno delle quali il tenore di vita è piuttosto alto, l’apparato statale funziona meglio che nel Mediterraneo, e dove una burocrazia più snella consente a chiunque di poter realizzare le proprie aspirazioni.
Tuttavia c’è un dato di fatto sostanziale che continua a marcare la differenza tra le due alternative: se nell’Europa del Nord la pressione fiscale raggiunge livelli piuttosto considerevoli, ecco che nell’Est del Continente il peso dello Stato si fa sentire con sempre minore insistenza.
Su questo fronte, il caso della Bulgaria può servirci come esempio davvero eclatante: il sistema fiscale della sua economia è stato profondamente rivisto a partire dal 2007, anno che ha segnato l’ingresso definitivo della Bulgaria nell’Unione Europea. Inoltre, il rigore che nel corso degli anni ha influenzato le riforme interne, ha fatto della Bulgaria un’economia solida, seria e funzionale invidiata dal resto d’Europa.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. Partiamo dal peso che le imposte dirette esercitano sul reddito, che se in Italia seguono un principio di progressività, in Bulgaria sono invece state uniformate con l’introduzione della cosiddetta “flat tax”. Si tratta di un’imposta unica e fissa, che sostituendosi ai precedenti scaglioni del 20%, 22% e 24%, colpisce nella misura del 10% tutti i redditi delle persone fisiche indipendentemente dal loro ammontare. Un principio di uguaglianza, che nonostante sia stato preso di mira dai promotori della vituperata “equità sociale”, ha fatto di quella bulgara un’economia florida e sempre più attraente agli occhi degli investitori.
La pressione fiscale sulle imprese è anch’essa fissata nella misura del 10%, facendo sì che numerosissime attività produttive e commerciali dei paesi limitrofi spostassero le loro sedi proprio in terra bulgara. Là, dove lo Stato è amico dell’imprenditoria e non gli è di certo da ostacolo (ogni riferimento è puramente casuale!)
Insomma: un vero e proprio sogno agli occhi di noi italiani, continuamente vessati da un fisco oppressivo e repressivo!
Spostiamoci sulle imposte indirette, ovvero su quei tipi di tributi che incidono sul patrimonio e sul trasferimento della ricchezza. L’Iva è indubbiamente tra le più rappresentative in questo senso, e se da noi è di recente stata fatta alzare al 22%, ecco che in Bulgaria rimane fissa al 20% (accompagnata da un’aliquota speciale del 9% nel caso dei servizi alberghieri). Altra imposta indiretta è quella che colpisce le proprietà immobiliari. A tal proposito sappiamo bene come in Italia, da un po’ di anni a questa parte, commercialisti, agenzia delle entrate e contribuenti vari siano finiti nel caos più totale: i continui cambiamenti di riforma non permettono di capire né il nome, né i criteri di calcolo, né l’ammontare definitivo della nostra imposta sugli immobili. Ici, Imu, Tasi, Iuc e via dicendo: quanti altri cambiamenti aspettarci per il futuro?
In Bulgaria invece, l’imposta sulle proprietà immobiliari oltre ad essere particolarmente bassa è anche molto facile da calcolare. La sua aliquota va da un minimo dello 0,15% fino ad un massimo dello 0,30% del valore catastale, variabile sulla base della localizzazione e della destinazione d’uso dell’immobile.
A rendere tutto ciò ancora più credibile interviene un dato di fatto estremamente importante. La pressione fiscale tenuta sotto controllo, infatti, nel caso della Bulgaria non si combina affatto con una disastrosa situazione dei conti pubblici interni.
Le imposte (dirette o indirette che siano) permettono a chiunque di poter gestire i propri soldi come meglio crede, mentre lo Stato, dal canto suo, tiene fede a quei principi di rigore che sono un vero e proprio atto di rispetto nei confronti delle generazioni future: nel 2011 la legge di bilancio ha imposto al Governo di contenere il disavanzo al di sotto del 2%, nonché di controllare la spesa pubblica affinché non superi mai il 40% del Pil.
Tutta un’altra storia.